La legge n. 110 del 14 luglio 2017 ha introdotto nel nostro ordinamento il delitto di tortura, in notevole ritardo rispetto alla Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, ratificata dall’Italia nel 1988. Il lungo iter legislativo della legge 110/2017, che ha introdotto nel nostro codice penale i reati di tortura (art. 613-bis c.p.) e di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter c.p.), è stato per anni caratterizzato da accese polemiche tra le forze politiche e tra l’opinione pubblica, incalzate anche da alcuni gravi episodi di cronaca. Il testo licenziato dal Parlamento presenta rilevanti differenze rispetto all’iniziale proposta di legge, e non sono mancate le insoddisfazioni e le critiche da parte dello stesso Presidente della Commissione per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ha lamentato una formulazione del reato di tortura divergente rispetto a quella contenuta nella Convenzione ONU, nonché da parte di associazioni che si occupano di tortura (come Amnesty International ed Antigone), per le quali le nuove disposizioni rischiano di non essere efficaci per la prevenzione ed il contrasto di gravi condotte.
Il doping nelle attività sportive
Negli ordinamenti moderni l’utilizzo di sostanze dopanti è di regola punito come illecito sportivo, cui conseguono sanzioni disciplinari (squalifiche a tempo, radiazioni…). È poi la legge n. 376 del 2000 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping), attuativa della Convenzione contro il doping di Strasburgo del 16 novembre 1989, ad introdurre nell’ordinamento italiano il reato di doping.