La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con la sentenza n. 2192 del 16 gennaio 2015, si è pronunciata sul tema della responsabilità infermieristica e della posizione di garanzia in capo agli esercenti la professione sanitaria in un caso di errore medico nella prescrizione di un farmaco.
Più precisamente, la Suprema Corte ha affermato la penale responsabilità, per la morte di un paziente, dell’infermiere coordinatore che non aveva segnalato al medico l’erronea prescrizione di un farmaco contenente un principio attivo che sapeva essere dannoso per il paziente stesso.
Il caso concreto
Nel corso dell’anamnesi del paziente, avvenuta alla presenza di un infermiere coordinatore, il medico rilevava l’allergia all’amoxicillina del paziente stesso. Tuttavia, prescriveva a quest’ultimo un farmaco contenente amoxicillina, che gli veniva poi somministrato da una infermiera all’interno della sala operatoria ed in seguito al quale decedeva dopo pochissimi istanti.
In primo grado il Tribunale di Busto Arsizio assolveva i due infermieri, imputati del reato di omicidio colposo in violazione della disciplina relativa all’esercizio della professione infermieristica. Si contestava all’infermiere coordinatore il mancato rilievo, per negligenza o imperizia, del contrasto tra la prescrizione medica del farmaco e l’allergia del paziente all’amoxicillina, nonché la mancata segnalazione di detto contrasto al personale medico. All’infermiera in servizio presso la sala operatoria si contestava invece di aver imprudentemente somministrato il farmaco al paziente che ne era allergico.
In secondo grado, la Corte d’Appello di Milano assolveva l’infermiera che aveva somministrato il farmaco nella fase preoperatoria, mentre condannava l’infermiere coordinatore alla pena di 6 mesi di reclusione. Con tale decisione, la Corte evidenziava la concreta sussistenza di una specifica posizione di garanzia in capo all’infermiere coordinatore, onerato di precisi doveri di organizzazione, di gestione, di sovraintendimento e di segnalazione: in particolare, nella sua qualità di infermiere caposala l’imputato, a conoscenza dell’allergia sofferta dal paziente, aveva colpevolmente omesso di segnalare l’erronea prescrizione del farmaco e di sottoporre ad una nuova verifica, o ad un più accurato controllo, la documentazione clinica relativa al paziente: e tali omissioni rappresentavano una violazione delle regole imposte dall’arte infermieristica.
La pronuncia della Corte di Cassazione: posizione di garanzia e principio di affidamento nell’attività sanitaria
La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con la sentenza n. 2192 del 16 gennaio 2015, ha confermato la sentenza di condanna nei confronti dell’infermiere coordinatore, sottolineando la colpevole omissione da parte dell’imputato di precisi doveri giuridici. Sul punto, nella pronuncia della Suprema Corte si legge come “in considerazione della qualità e del corrispondente spessore contenutistico della relativa attività professionale, non possa non ravvisarsi l’esistenza, in capo all’infermiere, di un preciso dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico (ossia misurato sul piano di un elementare adempimento di compiti meramente esecutivi), occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici; e tanto, non già al fine di sindacare l’operato del medico (segnatamente sotto il profilo dell’efficacia terapeutica dei farmaci prescritti), bensì allo scopo di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti (o comunque percepibili), ovvero al fine di condividerne gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita rispetto all’ipotesi soggetta a esame; da tali premesse derivando il ricorso di puntuali obblighi giuridici di attivazione e di sollecitazione volta a volta specificamente e obiettivamente determinabili in relazione a ciascun caso concreto”.
La Suprema Corte ha individuato la fonte della responsabilità dell’infermiere coordinatore nella posizione di garanzia, richiamando sia gli obblighi costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 Cost., sia le leggi di abilitazione all’esercizio professionale (fra cui le leggi 42/1999, 251/2000 e 43/2006, nonché il decreto ministeriale 739/1994). Come è noto, con ‘posizione di garanzia’ si intende un vincolo speciale di tutela che grava su particolari categorie di soggetti, con specifica funzione di garanzia di interessi penalmente protetti.
La Cassazione ha inoltre sottolineato la correttezza della pronuncia della Corte d’Appello di Milano, laddove ha escluso che per l’imputato potesse valere il principio di affidamento: in altre parole ha escluso che le successive omissioni imputabili al personale medico ed infermieristico succedutosi nella cura del paziente (in particolare all’infermiera che in fase preoperatoria aveva somministrato il farmaco al paziente) avessero avuto una qualche incidenza risolutiva sul nesso di causalità. Il richiamato principio di affidamento consiste nel rendere responsabile il singolo professionista del corretto adempimento dei compiti che gli sono affidati e di sgravarlo dall’obbligo di sorvegliare il comportamento altrui, al superiore fine dell’interesse della vita del paziente.
Ma al caso di specie il detto principio non poteva applicarsi poiché, come è ormai consolidato insegnamento, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciò nonostante, confidi che altri, che gli succeda nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla sua omissione. E nella specie l’infermiere coordinatore aveva agito colposamente omettendo la segnalazione dell’erronea prescrizione del farmaco e non poteva confidare nell’eliminazione di tale errore da parte di chi gli succedeva nella posizione di garanzia.