Particolarmente interessante è la recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 100 del 5 giugno 2015, in tema di reati tributari: con riguardo al delitto di omesso versamento delle ritenute certificate di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento alla soglia di punibilità di 50 mila euro.
Il reato di omesso versamento delle ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. 74/2000)
Il citato art. 10-bis punisce, con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, chiunque non versi, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a 50.000,00 euro per ciascun periodo d’imposta.
La sospetta illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis d.lgs. 74/2000
Diversi Giudici di merito hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del detto art. 10-bis, nella parte in cui tale norma punisce, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, l’omesso versamento delle ritenute certificate anche per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, a 103.291,38 euro.
Secondo i Giudici rimettenti, infatti, la citata disposizione violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. anzitutto nel raffronto con l’art. 10-ter d.lg. 74/2000: a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014 (della quale si è trattato nell’articolo “Quando l’omesso versamento dell’I.V.A. non è più reato”, cui si rinvia per un maggiore approfondimento), l’art. 10-ter punisce i fatti di omesso versamento dell’I.V.A., commessi sino al 17 settembre 2011, solo ove l’imposta non versata superi 103.291,38 euro. Irragionevole sembrerebbe allora la disparità di trattamento dell’art. 10-bis, che attribuisce rilievo penale all’omesso versamento di ritenute certificate quando l’importo non versato sia superiore a soli 50.000,00 euro.
L’art. 3 Cost. – sempre secondo i Giudici rimettenti – risulterebbe violato anche nel raffronto con gli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000 (prima della riforma operata dal d.l. 138/2011): invero, la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione – per i quali i citati artt. 4 e 5 prevedevano, per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011, soglie di punibilità superiori a 50.000,00 euro – costituirebbero illeciti ben più gravi, sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco, rispetto al reato di omesso versamento di ritenute certificate. Con il rilascio ai sostituti della certificazione dell’avvenuta effettuazione delle ritenute il sostituto d’imposta renderebbe, infatti, palese ed immediatamente accertabile da parte del fisco la propria inadempienza.
La sentenza della Corte costituzionale n. 100 del 2015
Contrariamente alle ordinanze dei Giudici a quibus, la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 100 del 2015 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sulla soglia di punibilità di 50.000,00 euro nell’art. 10-bis d.lgs. 74/2000.
Poiché i dubbi di legittimità costituzionale traevano alimento dalla sentenza n. 80 del 2014 della stessa Consulta e concernente il delitto di omesso versamento dell’I.V.A. (art. 10-ter d.lgs. 74/2000), i Giudici costituzionali hanno innanzitutto precisato che tale sentenza rilevava un evidente difetto di coordinamento tra la soglia di punibilità dell’art. 10-ter (50.000,00 euro) e quelle degli artt. 4 e 5 del medesimo decreto (rispettivamente 77.468,53 euro e 103.291,38 euro): incongruenza già rimossa dal Legislatore con il d.l. 138/2011, che ha ridotto le soglie di punibilità dei reati di cui agli artt. 4 e 5 a 30.000,00 euro e 50.000,00 euro. La rilevata discrasia comportava che, nel caso in cui l’I.V.A. dovuta dal contribuente si situasse nell’intervallo tra l’una e le altre soglie (per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011), veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione I.V.A. senza versare l’importo dichiarato, rispetto a chi non avesse presentato affatto la dichiarazione, o avesse presentato una dichiarazione falsa, evadendo del pari l’imposta. Nel primo caso il contribuente avrebbe dovuto rispondere del delitto di omesso versamento dell’I.V.A., mentre nel secondo sarebbe invece andato esente da pena, non risultando superate le soglie di punibilità, più alte, previste per l’omessa o infedele dichiarazione: e ciò sebbene tali ultimi illeciti risultino incontestabilmente più gravi del primo, sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco.
Ma, a differenza di quanto accade per le dichiarazioni dell’I.V.A. – e quindi a differenza di quanto si è deciso con la richiamata sentenza n. 80 del 2014 – la dichiarazione di sostituto d’imposta non rientra tra quelle rilevanti ai fini dei delitti di infedele e omessa dichiarazione, invocati come tertia comparationis. Il sostituto d’imposta che omette di versare le ritenute certificate può essere chiamato a rispondere, sul piano penale, unicamente del reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. 74/2000, tanto se abbia regolarmente assolto i propri obblighi dichiarativi, quanto se abbia presentato una dichiarazione infedele, quanto se non abbia presentato affatto la dichiarazione (l’omessa o infedele dichiarazione di sostituto d’imposta integrano solo l’illecito amministrativo di cui all’art. 2 d.lgs. 471(1997). Dunque, i delitti di omessa e infedele dichiarazione non possono costituire utili termini di comparazione.
Né, secondo la Corte costituzionale, è corretto il confronto della norme di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, argomentato con il fatto che si tratterebbe di due fattispecie ‘gemelle’. Nonostante l’allineamento delle due fattispecie delittuose quanto a soglia di punibilità e trattamento sanzionatorio, tra i reati di omesso versamento delle ritenute certificate e l’omesso versamento dell’I.V.A. permangono elementi differenziali tali da precludere una loro comparazione. Per dirne solo alcuni, le due fattispecie non solo attengono a tributi diversi (le imposte sui redditi, nel primo caso, l’imposta sul valore aggiunto, nel secondo), ma hanno anche come destinatari soggetti i cui ruoli sono nettamente distinti sul piano tributario: rispettivamente, il sostituto d’imposta (chiamato ad adempiere l’obbligazione tributaria in luogo del soggetto in capo al quale si realizza il presupposto impositivo, effettuando, nei casi normativamente previsti, ritenute alla fonte sulle somme erogate ai sostituti per poi riversarle all’erario) e il contribuente, soggetto passivo dell’I.V.A.
In conclusione, la Corte costituzionale con la recente pronuncia in commento ha escluso che il (temporaneo) innalzamento della soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’I.V.A., operato con la sentenza n. 80 del 2014, abbia necessari effetti ‘estensivi’ sulla distinta fattispecie dell’omesso versamento di ritenute certificate.