La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 273 del 5 dicembre 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al Giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che come addebito sostitutivo forma oggetto della nuova contestazione.
Il giudizio abbreviato
Il giudizio abbreviato è un procedimento speciale che, elidendo il dibattimento, consente al Giudice del processo di decidere allo stato degli atti, e cioè sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero.
Tale giudizio, disciplinato dagli artt. 438 ss. c.p.p., è conveniente per l’ordinamento sul piano dell’economia processuale, e premiale per l’imputato perché consente la riduzione di un terzo della pena da irrogare in concreto.
La richiesta del giudizio abbreviato deve essere formulata, o dall’imputato personalmente o dal suo procuratore speciale, entro il termine perentorio che coincide con la formulazione delle conclusioni nell’udienza preliminare o, nei procedimenti a citazione diretta, con la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Le precedenti pronunce della Corte costituzionale
Proprio su questo termine perentorio, che vale anche per la richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti (ossia il cosiddetto “patteggiamento”, disciplinato agli artt. 444 ss. c.p.p. e di cui parleremo in un articolo dedicato solo a tale rito), la Corte costituzionale si è più volte espressa, considerando l’accesso ai riti speciali un importante diritto dell’imputato.
I primi superamenti della perentorietà del detto termine in caso di contestazioni suppletive in dibattimento, con la conseguente restituzione in termini dell’imputato, hanno riguardato dapprima proprio la richiesta di patteggiamento (Corte cost. n. 265 del 30 giugno 1994), e in un secondo tempo la domanda di oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p. (Corte cost. n. 530 del 29 dicembre 1995).
In linea con queste pronunce, la Corte costituzionale è intervenuta anni dopo sulla richiesta di giudizio abbreviato in caso di contestazioni suppletive (per un fatto diverso o per un reato concorrente) formulate dal Pubblico Ministero nel corso del dibattimento. Con la prima sentenza, la n. 333 del 18 dicembre 2009, ha legittimato l’imputato a chiedere il rito abbreviato in riferimento alle contestazioni suppletive c.d. patologiche, ossia concernenti fatti già risultanti dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale da parte del P.M.
Con la successiva, la sentenza n. 237 del 26 ottobre 2012, la Consulta ha poi esteso la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato anche relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale (contestazione suppletiva c.d. fisiologica).
La sentenza della Corte Costituzionale n. 273 del 5 dicembre 2014
Da ultimo, con una pronuncia additiva, la n. 273 del 5 dicembre 2014 la Corte costituzionale ha completato il quadro e reso ancora più effettivo il diritto di difesa (o, meglio, a difendersi). Ha così esteso all’imputato la facoltà di accedere al giudizio abbreviato nel corso del dibattimento anche relativamente alla contestazione suppletiva fisiologica del fatto diverso di cui all’art. 516 c.p.p.
Nella sentenza, dopo aver sottolineato la differenza tra la contestazione del reato concorrente, concernente un addebito aggiuntivo rispetto a quello originario, e la contestazione del fatto diverso, generante un addebito sostitutivo, la Consulta ha ritenuto che detta differenza non possa giustificare discriminazioni tra le due ipotesi sotto il profilo della richiesta di giudizio abbreviato. In entrambi i casi, infatti, la contestazione interviene quando il termine procedimentale perentorio per la richiesta del rito speciale è già scaduto.
La Corte ha inoltre sottolineato, nella pronuncia in esame, come la scelta del rito abbreviato risponda a strategie difensive che necessitano, per essere adeguatamente elaborate ed esplicitate, dell’assoluta completezza del quadro accusatorio, con riferimento a capi, punti e contenuti dell’imputazione. “Di conseguenza, non solo quando all’accusa originaria ne venga aggiunta una connessa, ma anche quando l’accusa stessa sia modificata nei suoi termini essenziali, non possono non essere restituiti all’imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni” (Corte cost. n. 273 del 5 dicembre 2014).