Dal 2 aprile 2015 è in vigore la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., introdotto dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 in attuazione della l. 28 aprile 2014, n. 67 (sui contenuti specifici della nuova disposizione si è ampiamente trattato in altri articoli anzitempo pubblicati: “La non punibilità per particolare tenuità del fatto: possibile ‘depenalizzazione’ di reati minori?”; “Ancora in attesa della entrata in vigore dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto”; e “La non punibilità per particolare tenuità del fatto introdotta dal decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015”).
Ma del nuovo istituto si era iniziato a parlare tempo prima, appena il Consiglio dei Ministri, il 1° dicembre 2014, aveva approvato uno schema di decreto legislativo che con la non punibilità per particolare tenuità del fatto auspicava la rapida definizione dei procedimenti penali iniziati nei confronti di soggetti che avevano commesso fatti penalmente rilevanti ma di lieve entità.
Se ne è però parlato in maniera errata e del tutto fuorviante, poiché la gran parte dei mezzi informativi, se non addirittura tutti, ha presentato la nuova causa di non punibilità come una sorta di depenalizzazione, come un viatico verso la totale impunità di oltre centinaia di reati, ben 112 (come non hanno mancato di precisare diversi articoli sul tema); e tra questi, i reati che hanno suscitato maggiore clamore sono stati i delitti di omicidio colposo, di atti persecutori (c.d. stalking) e di maltrattamenti di animali.
Il frastuono mediatico ed il diffuso allarmismo sociale che ne sono conseguiti, altro non sono stati che grossolani errori dettati dal non aver prestato la giusta attenzione all’emanando provvedimento.
Non vi è stata infatti alcuna depenalizzazione, nessuna trasformazione di illeciti penali in illeciti amministrativi, nessuna sottrazione della sanzione penale a una lunga lista di reati. Le nuove disposizioni introducono una causa di non punibilità in senso stretto che non implica il venir meno di fattispecie di reato, ma ne presuppone anzi la sussistenza, a partire proprio dall’offesa che per essere qualificata di ‘particolare tenuità’ deve, ovviamente, ricorrere.
Sarà il Giudice, chiamato a decidere il singolo caso, a dover valutare in concreto se in esso sussistono gli estremi, primi fra tutti la tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento dell’agente, per una pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Per fare un esempio, in seguito alla introduzione del nuovo art. 131-bis c.p., il reato di furto ex art. 624 c.p. non è affatto venuto meno, ma potrà avvenire che il furto di una mela non sarà penalmente sanzionato.
Come è accaduto sul tema in esame, più diventa facile accedere alle informazioni, più il rischio di accedere ad una non corretta informazione (in buona o cattiva fede) aumenta considerevolmente. E la disinformazione che ha guidato l’introduzione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, ancora accompagna il nuovo istituto: in merito ad una delle prime applicazioni dell’art. 131-bis c.p. al reato di false dichiarazioni sull’identità (art. 496 c.p.), si è parlato di “devastanti effetti della legge che depenalizza i reati”; erroneamente si legge ancora che la nuova legge sulla depenalizzazione cancella i reati puniti fino a cinque anni di carcere, come, nello specifico, il reato di cui all’art. 496 c.p., “spazzato via con un colpo di spugna” dal decreto legislativo n. 28 del 2015.
E ciò, nonostante lo stesso Legislatore abbia chiarito e precisato che l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto non costituisce, neanche indirettamente, una forma di depenalizzazione.