Con la recente pronuncia n. 42505 del 10 ottobre 2014, la Corte di Cassazione, I sezione penale, ha sancito che la violazione delle prescrizioni relative alla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità costituisce reato, ma l’attività lavorativa compiuta in precedenza, con esito favorevole, deve essere apprezzata in termini di espiazione della pena.
Il caso concreto
Nel caso di specie, il soggetto responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 C.d.S. veniva condannato a svolgere lavoro di pubblica utilità; in seguito a plurime ed ingiustificate violazioni delle prescrizioni relative alla detta sanzione sostitutiva, il Tribunale revocava la misura del lavoro socialmente utile e ripristinava per intero l’originaria pena inflitta, senza considerare la parte di pena già espiata (36 ore e mezza di lavoro, a fronte di 44 ore totali).
La sentenza n. 42505 del 2014 della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 42505 del 10 ottobre 2014 la Suprema Corte si è espressa sulla questione di diritto relativa alle conseguenze derivanti dall’interruzione della misura del lavoro di pubblica utilità quale sanzione sostitutiva, e in particolare sugli effetti del provvedimento di revoca della misura: si è chiesta, in sostanza, se la revoca abbia effetti ex tunc, nel senso di far venire meno anche il periodo di corretto svolgimento della prestazione lavorativa, ovvero se debba essere operato un ragguaglio e debba quindi essere scomputato il periodo di positivo svolgimento dell’attività, con il ripristino della sola pena residua.
La Corte di Cassazione ha anzitutto precisato che ai sensi dell’art. 58 d.lgs. n. 274 del 2000 (“Disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace”) il lavoro di pubblica utilità deve considerarsi quale pena detentiva della specie corrispondente alla pena originaria e che, come dispone l’art. 56 del medesimo decreto, “il condannato che senza giusto motivo… non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno”.
Dunque, la violazione delle prescrizioni relative alle sanzioni sostitutive, e in particolare al lavoro di pubblica utilità, configura gli estremi di un delitto, al pari dell’evasione, cui segue l’applicazione di una pena detentiva. In questo, secondo la Suprema Corte, si esauriscono le conseguenze della trasgressione alle prescrizioni relative alla sanzione sostitutiva, e l’interessato non può essere gravato di una ulteriore conseguenza negativa, quale la revoca ex tunc del beneficio, che porrebbe nel nulla l’esito positivo del lavoro sostitutivo svolto in precedenza.
In sintesi, in caso di violazione delle prescrizioni riguardanti il lavoro di pubblica utilità il trasgressore risponde del reato previsto dall’art. 56 d.lgs. 274/2000, ma l’attività lavorativa svolta in precedenza viene considerata positivamente come periodo di pena già espiato; e il periodo di lavoro residuo viene tradotto in pena detentiva alla luce dei criteri di ragguaglio di cui all’art. 58 d.lgs. 274/2000 (un giorno di pena detentiva equivale a tre giorni di lavoro di pubblica utilità).