Torniamo ad approfondire il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, di cui all’art. 2 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638 (e di cui si era discusso in precedenti articoli: “L’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è, ad oggi, ancora reato” e “Assoluzioni dal reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali per mancanza di offensività”), dopo l’introduzione di importanti novità legislative.
La nuova disciplina dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dopo il d.lgs. 8/2016
Lo scorso 6 febbraio 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 che ha disposto, dando così seguito alla legge delega n. 67 del 2014, la depenalizzazione di alcuni reati, ossia la trasformazione in illeciti amministrativi di alcuni illeciti penali (sul tema si vedano gli articoli “Depenalizzazione, abrogazione di reati e introduzione di illeciti civili con sanzioni pecuniarie civili”, “In vigore dal 6 febbraio 2016 la depenalizzazione e l’abrogazione di reati” e “Depenalizzazione e abrogazione di reati: profili processuali e diritto intertemporale”). E tra i reati depenalizzati vi rientra anche il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali qualora l’importo omesso non sia superiore ad euro 10.000 annui.
Più precisamente, l’art. 6, comma 3, d.lgs. 8/2016 ha così sostituito il comma 1-bis dell’art. 2 d.lgs. 463/1983: “L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
Ne consegue allora che se il datore di lavoro omette di versare all’ente previdenziale le ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153) per un importo superiore ad euro 10.000 annui, si configura il reato punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1.032. Se, invece, l’importo delle ritenute previdenziali ed assistenziali non versate all’INPS è inferiore ad euro 10.000, il datore di lavoro integra l’illecito amministrativo cui consegue il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra i 10.000 e i 50.000 euro.
In ogni caso, e come già prevedeva la normativa previgente, il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile a sanzione amministrativa nel caso in cui provveda al versamento delle omesse ritenute previdenziali ed assistenziali entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Natura del reato e momento consumativo
Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è reato omissivo istantaneo. Pertanto, si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il versamento da parte del datore di lavoro e nel luogo in cui il versamento stesso si sarebbe dovuto effettuare.
Non sussiste il reato ex art. 2 d.lgs. 463/1983 in mancanza della effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti
È pacifico, e confermato dalla pronuncia della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 27641 del 26.06.2003, che non può configurarsi il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali se la relativa retribuzione non è stata materialmente corrisposta ai lavoratori dipendenti. E ciò, come osservato in motivazione dalla Suprema Corte, si evince chiaramente dalla lettera della legge, laddove il riferimento alle “ritenute operate” sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può essere operata una ritenuta senza l’effettivo pagamento della relativa somma dovuta al lavoratore a titolo di retribuzione.
L’intento del Legislatore è quello di voler penalmente sanzionare il comportamento fraudolento del datore di lavoro che indebitamente si appropria di quella parte di retribuzione del dipendente che lo stesso avrebbe dovuto versare all’INPS tramite il meccanismo delle ritenute. Ma se non c’è alcuna retribuzione, il datore di lavoro non ha nulla di cui appropriarsi e, di conseguenza, non integra alcuna fattispecie di reato.
Deve, invero, considerarsi più riprovevole il comportamento del datore di lavoro che, avendo corrisposto le retribuzioni ai lavoratori, omette i dovuti versamenti all’INPS, rispetto alla condotta del soggetto che né corrisponde le retribuzioni né versa le dovute ritenute all’istituto previdenziale: il primo comportamento costituisce, infatti, un inadempimento occulto, capace di procurare al lavoratore gravi danni, e come tale è penalmente sanzionato dal nostro ordinamento. Diversamente, il comportamento del datore di lavoro che non corrisponde le retribuzioni né versa le relative ritenute all’INPS non si presta ad essere occultato, e in tempi brevi i lavoratori verranno a conoscenza dell’inadempimento e potranno di conseguenza esperire gli opportuni rimedi.
Trattandosi di un elemento costitutivo del reato, la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni deve essere fornita dalla Pubblica Accusa (Cass. pen., sez. III, n. 20255 del 14.05.2009).
In più occasioni la giurisprudenza ha precisato che detta prova può essere tratta dai c.d. modelli DM10, ossia dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale, sempre che non risultino elementi contrari (ex plurimis, Cass. pen., sez. III, n. 46451 del 07.10.2009, Cass. pen., sez. III, n. 14839 del 04.03.2010, Cass. pen., sez. III, n. 37145 del 10.04.2013 e Cass. pen. n. 30271 del 10.07.2014). In altre parole, la trasmissione all’INPS dei modelli DM10, che hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro, equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazioni alle quali è stato omesso il versamento delle ritenute. Ne consegue, allora, che la presentazione di detti modelli è sufficiente per accertare l’omesso versamento delle ritenute e, dunque, la responsabilità penale del datore di lavoro.
Resta ferma in ogni caso la possibilità per l’imputato di fornire prova contraria in ordine alla effettività delle retribuzioni, e quindi di dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione rappresentata dai modelli DM10 (Cass. pen., sez. III, n. 32848 del 2005).