Il 19 maggio 2015 il Senato ha definitivamente approvato – con maggioranza “bulgara”: 170 voti a favore, 20 contrari e 21 astenuti – il disegno di legge n. 1345-B, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 2015, la legge n. 68 del 22 maggio 2015, contenente i nuovi “ecoreati”, è entrata in vigore il 29 maggio ed ha introdotto, sulla falsariga di precedenti progetti di legge mai approvati, un nuovo Titolo VI-bis nel codice penale, composto da dodici articoli e dedicato per l’appunto ai delitti contro l’ambiente.
In tale sede ci si limiterà ad alcune considerazioni in merito alle nuove figure delittuose di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, strutturate secondo il modello dei reati di evento.
Le nuove disposizioni di inquinamento e disastro ambientale
Il nuovo art. 452-bis c.p. punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 100.000 euro il delitto di inquinamento ambientale, consistente nel fatto di chi “abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”. Costituisce circostanza aggravante ad effetto comune (prevedendo un aumento della pena fino ad un terzo) il fatto che l’inquinamento sia “prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette”.
L’art. 452-ter c.p. (Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale) dispone l’applicazione della reclusione da 2 anni e 6 mesi a 7 anni quando, da taluno dei fatti previsti dall’articolo precedente, deriva una lesione personale quale conseguenza non voluta dal reo, salvo che la malattia abbia una durata non superiore a venti giorni. La pena è invece della reclusione da 3 a 8 anni, se la lesione è grave; da 4 a 9 anni, se la lesione è gravissima; da 5 a 10 anni, infine, se dal fatto deriva la morte. Il capoverso della medesima disposizione disciplina poi l’ipotesi della pluralità di morti e/o lesioni: in tale evenienza, la pena da applicarsi è quella prevista per l’ipotesi più grave aumentata sino al triplo, purché non superi i 20 anni di reclusione.
Viene poi introdotta la nuova fattispecie di disastro ambientale all’art. 452-quater c.p., ai sensi del quale, “fuori dei casi previsti dall’articolo 434”, è punito con la reclusione da 5 a 15 anni “chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale”, definito come “l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema”, ovvero “l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”, o, ancora, come “l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o messe in pericolo”. Come per l’inquinamento ambientale, è poi previsto un aumento di pena nel caso in cui il fatto sia stato commesso in un’area protetta.
Il successivo art. 452-quinquies c.p.prevede e punisce le ipotesi colpose corrispondenti a quelle dolose sopra menzionate, stabilendo – con formulazione che sarebbe certamente più adeguata per una circostanza attenuante – che “se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi”. Il secondo comma della medesima disposizione provvede poi a sanzionare le corrispondenti fattispecie colpose di mero pericolo, disponendo un’ulteriore diminuzione di pena, pari ad un terzo, nell’ipotesi in cui “dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente derivi il pericolo di un inquinamento ambientale o di un disastro ambientale”.
Profili critici delle nuove disposizioni
Anche limitando la nostra analisi alle sole disposizioni sopra richiamate, diversi sono i profili problematici che vengono in rilievo e che, riguardando il fatto di reato, precedono ed assorbono eventuali considerazioni in merito ad ulteriori aspetti della nuova disciplina, come ad esempio quelli relativi alla prescrizione, alla confisca ed alla responsabilità da reato degli enti.
Anzitutto, la più grave ed evidente criticità sta nella mancanza di precisione nella descrizione delle fattispecie incriminate, dovuta all’abbondante impiego di termini vaghi ed approssimativi: basti pensare alla oscurità di espressioni quali “compromissione o deterioramento significativi”, “ecosistema”, “eliminazione particolarmente onerosa dell’alterazione”, “provvedimenti eccezionali”, ecc. Ci si domanda, allora, come potrà il giudice distinguere in concreto tra “una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di un ecosistema” (di cui alla fattispecie di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p.) e “un’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali” (di cui alla fattispecie di disastro ambientale ex art. 452-quater c.p.).
Particolarmente ambigua risulta, poi, l’espressione “abusivamente” impiegata nella previsione del reato di disastro ambientale: una tale espressione, invero, rischia di prestarsi ad interpretazioni estensive, volte cioè ad includere nell’ambito di applicazione dell’art. 452-quater c.p. qualsiasi “inquinamento”, a prescindere dalla effettiva violazione di precetti legislativi e amministrativi posti a tutela dell’ambiente. Interpretazioni, queste, certamente inaccettabili per le gravi conseguenze che avrebbero sulla certezza del diritto penale e che, comunque, si porrebbero in aperto contrasto con quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9 aprile 2013 (relativa alla nota vicenda dell’Ilva), sulla insindacabilità, da parte del giudice penale, del merito delle valutazioni e dei provvedimenti legittimamente adottati dalle autorità amministrative competenti in materia ambientale.
Tuttavia, le criticità non si esauriscono qui. La decisione di strutturare le nuove figure delittuose secondo il modello dei reati di evento, infatti, pone un problema di soluzione tutt’altro che semplice: quello della prova del nesso causale. Problema, questo, che risulta senz’altro arduo allorché si tratti di inquinamento atmosferico, ma che si propone anche in riferimento agli eventi di morte e lesioni, aggravanti del delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-ter c.p., in relazione al quale si pone altresì l’ulteriore questione della corretta qualificazione giuridica, come circostanza aggravante o fattispecie autonoma di reato. Sono note, infatti, le difficoltà di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, i legami eziologici tra fattori ambientali e specifici eventi patologici. Basti, sul punto, considerare anche soltanto gli esiti dei diversi processi penali per esposizione ad amianto, ed in particolare la scelta della Procura di Torino, nell’ambito del tristemente famoso processo “Eternit”, di non contestare i reati di omicidio e di lesioni personali.
Discutibile è, inoltre, anche la formulazione del nuovo art. 452-quinquies c.p., il quale punisce la commissione, per colpa, di “taluno dei fatti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater”. Poiché la norma fa riferimento complessivamente ai “fatti” di reato, l’elemento soggettivo della colpa dovrà investire tanto l’evento di inquinamento o disastro, quanto la condotta trasgressiva (richiesta dal pur problematico avverbio “abusivamente”), così come condotta ed evento devono entrambi formare oggetto di rappresentazione e volizione nelle ipotesi dolose. Quid juris, dunque, nel caso del c.d. “dolo misto a colpa”, ossia nell’ipotesi – tutt’altro che irrealistica – di una consapevole violazione delle norme ambientali, che provochi effetti inquinanti e nocivi che non siano stati previsti nè voluti dal reo?
Infine, quanto alla fattispecie colposa di pericolo prevista dal capoverso dell’art. 452-quinquies c.p., nella sua stesura si è evidentemente commesso un errore logico prima ancora che giuridico. Si punisce, infatti, il “pericolo” di un inquinamento o di un disastro ambientale che derivi “dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente”, ossia delle fattispecie di cui agli artt. 452-bis e 452-quater c.p.: sembra, tuttavia, che in questo passaggio il Legislatore abbia dimenticato che tali fatti consistono proprio nel cagionare un inquinamento o un disastro ambientale.
In conclusione, diverse sono le ragioni per cui pare più che lecito dubitare, da un lato, della reale efficacia, nella tutela del bene dell’ambiente, di questo intervento normativo, certamente carico di una forte portata simbolica e, dall’altro, della sua compatibilità con i principi di precisione e di tassatività delle norme incriminatrici, sancito dall’art. 25, comma 2, della Costituzione.