Pubblichiamo ora un approfondimento sul tema, di grande interesse ed attualità, della collaborazione volontaria o voluntary disclosure, della quale lo Studio legale Lucino si sta occupando da tempo unitamente all’Avv. Matteo Faggioli ed all’Avv. Andrea Ferrari, i quali, tra l’altro, hanno collaborato alla redazione dell’articolo che segue.
La collaborazione volontaria o voluntary disclosure è legge dello Stato (legge 15 dicembre 2014, n. 186)
Sopraggiunta la disciplina positiva, sarebbe opportuno anzitutto analizzarne i lineamenti fondamentali, così da favorire la comprensione di un provvedimento che appare, prima facie, di non agevole lettura. Sennonché, essendo il presente scritto volto, principalmente, alla disamina degli effetti penali della collaborazione volontaria, in particolare quelli previsti dall’art. 5-quinquies, commi 1 e 2, d.l. 167/1990, agli aspetti più strettamente tributari sarà dato solo un brevissimo cenno.
In via di estrema sintesi, è doveroso premettere che la procedura di collaborazione volontaria – di cui per vero l’articolato normativo non offre alcuna definizione concettuale – è regolamentata, in tutte le sue fasi e quanto ai suoi effetti, dall’art. 1 legge 186/2014 che ha previsto che di detta procedura possano avvalersi anche soggetti che non abbiano commesso alcuna violazione dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 4, comma 1, d.l. 167/1990. Pertanto, volendo avere riguardo alle masse finanziarie e patrimoniali alla cui emersione la collaborazione volontaria è strumentale, è corretto ritenere che la procedura in rassegna può avere ad oggetto asset ubicati sia all’estero, che nel territorio nazionale: ad essere “regolarizzabile”, quindi, non è solo il cd. “nero transfrontaliero”, ma anche il cd. “nero domestico”.
Come è possibile desumere dalla lettura della legge 186/2014, con essa il Legislatore ha anzitutto innovato il d.l. 167/1990, ivi inserendo la disciplina della procedura di collaborazione volontaria avente ad oggetto le “attività finanziarie e patrimoniali illecitamente costituite o detenute fuori del territorio dello Stato”: trattasi, in particolare, dei nuovi artt. 5-quater, 5-quinquies e 5-septies (tutti introdotti dall’art. 1, comma 1, legge 186/2014). Quanto invece alla procedura di collaborazione volontaria avente ad oggetto le “attività finanziarie e patrimoniali illecitamente costituite o detenute nel territorio dello Stato”, la disciplina della medesima è contenuta nell’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, legge 186/2014.
La procedura di collaborazione volontaria produce effetti di natura premiale anche sul piano sanzionatorio penale
Limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria, è esclusa, nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria, (i) la punibilità per i delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000 e (ii) la punibilità delle condotte previste dagli artt. 648-bis e 648-ter c.p., se commesse in relazione ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000 (art. 5-quinquies, commi 1 e 2, d.l. 167/1990).
La previsione di non punibilità in commento (trattasi di causa di non punibilità stricto iure) è espressione di una logica premiale già nota all’ordinamento penale (cfr. art. 56 c.p.) ed estrinsecantesi nel “ponte d’oro… al nemico che fugge”.
Se é, dunque, la promessa di impunità che dovrebbe incentivare l’evasore “transfrontaliero” o “domestico” ad abbandonare la condotta criminosa, deve dirsi che il “ponte”, sebbene più esteso di quello previsto dal decaduto decreto legge 4/2014, non è accessibile a chiunque.
Anzitutto, se è vero che la non punibilità riguarda sia taluni delitti tributari in materia di pagamento delle imposte (così la rubrica del capo II, titolo II, d.lgs. 74/2000), quali l’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. 74/2000) e l’omesso versamento dell’IVA (art. 10-ter d.lgs. 74/2000), sia i delitti tributari in materia di dichiarazione (così la rubrica del capo II, titolo II, d.lgs. 74/2000), siano essi non fraudolenti (art. 4 d.lgs. 74/2000, dichiarazione infedele; art. 5 d.lgs. 74/2000, omessa dichiarazione) che commessi con frode (art. 2 d.lgs. 74/2000, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3 d.lgs. 74/2000, dichiarazione fraudolenta mediante artifici), è parimenti vero che, proprio con riguardo a questi ultimi, posta la non punibilità del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, meglio sarebbe stato prevedere la non punibilità anche dello speculare reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
A tacer d’altro, infatti, se è vero che l’art. 9 d.lgs. 74/2000, regolando il “concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, esclude che colui il quale commette il delitto di cui all’art. 2 (attraverso l’inserimento in dichiarazione degli elementi passivi fittizi originati dalla fattura falsa) possa essere chiamato a rispondere, ex art. 110 c.p., del reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, è parimenti vero che il citato art. 9 non esclude la possibilità che il medesimo soggetto risponda, in relazione alla medesima fattura attestante operazioni inesistenti, sia del reato di cui al citato art. 2, che del reato di cui all’art. 8, allorquando agisca, in prima persona, come utilizzatore e come emittente del documento: è il caso, non infrequente, del soggetto che, contestualmente, abbia agito come amministratore (di fatto o di diritto) della società che ha eseguito la prestazione o ceduto il bene (ed ha quindi emesso la fattura) e della società che abbia beneficiato della prestazione od abbia ricevuto il bene (ed abbia quindi contabilizzato la fattura).
Non può sfuggire che, in tali casi, la promessa di impunità potrebbe sfumare: non punibile per il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, il collaboratore volontario potrebbe essere chiamato a rispondere, nel concorso di tutti gli altri elementi normativamente richiesti, del delitto di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000 (il quale, per vero, è reato a dolo specifico, essendo richiesto il fine di favorire non già l’evasione propria, bensì quella di terzi).
In secondo luogo, l’accesso al “ponte” è riservato solo a colui che, per giungere a costituire o detenere disponibilità finanziarie o patrimoniali ignote all’Erario, ha commesso una delle fattispecie delittuose normativamente indicate; diversamente, chi, per costituire o giungere a detenere le anzidette disponibilità, avesse commesso reati tributari diversi da quelli fin qui menzionati, ovvero reati di diversa natura (ad es. bancarotta, falso in bilancio, ecc.), resterà perseguibile e punibile quand’anche abbia intrapreso e portato a compimento il cammino della voluntary disclosure.
Siccome pare improbabile che gli evasori annoverabili in quest’ultima categoria decidano di “pentirsi”, si ritiene che una diversa disciplina della causa di non punibilità in commento – che ricomprenda quanto meno l’intera gamma delle fattispecie delittuose penali tributarie – sarebbe idonea ad assicurare maggior successo alla procedura volta al rientro nella legalità dei capitali illecitamente detenuti.
Del resto, suscita qualche perplessità anche la mancata inclusione, nel novero dei reati tributari non punibili, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: trattasi, infatti, di fattispecie che incrimina condotte che ben potrebbero essere state il “mezzo” per la costituzione dell’attività patrimoniale oggetto della collaborazione volontaria (si pensi, ad esempio, alla alienazione simulata di un bene, condotta che – se commessa al fine di sottrarsi al pagamento di imposte dirette o dell’IVA, delle relative sanzioni o dei relativi interessi – potrebbe essere punita ai sensi dell’art. 11 d.lgs. 74/2000).
Se – e solo se – commessi in relazione ai delitti di cui alla artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000, anche i delitti di riciclaggio (648-bis c.p.) e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.) risultano non punibili nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria.
Siccome del reato di riciclaggio (ed analogamente è a dirsi con riguardo al delitto di cui all’art. 648-ter c.p.) non può essere chiamato a rispondere colui che abbia preso parte, in qualità di concorrente, al cd. ‘reato presupposto’, vi è da ritenere che la previsione in commento debba essere intesa come riferita al collaboratore volontario che intraprenda la procedura di cui all’art. 5-quater d.l. 167/1990 al fine della emersione di attività finanziarie e/o patrimoniali dal medesimo detenute illecitamente e che provengano dall’altrui attività evasiva rilevante ai sensi di uno dei reati tributari indicati dall’art. 5-quinquies, comma 1 lett. a), d.l. 167/1990.
Della non punibilità, quindi, beneficia il collaboratore volontario riciclatore, non già l’autore del reato tributario presupposto.
Come si è detto, per espressa – e condivisibile – previsione normativa (art. 5-quinquies, comma 2, d.l. 167/1990), la causa di non punibilità opera limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria.
Ai fini dell’esatta comprensione della disposizione in commento, è necessario ricordare che, ad eccezione dell’art. 2 d.lgs. 74/2000, tutte le fattispecie delittuose menzionate dall’art. 5-quinquies, comma 1 lett. a), d.l. 167/1990 sono strutturate mediante la previsione di soglie di punibilità: non sempre, quindi, l’evasione d’imposta è penalmente rilevante, divenendo tale solo in conseguenza del suo essere superiore ad una determinata entità (cd. “evasione qualificata”).
Orbene, rispetto a tali fattispecie delittuose, se l’evasione prodotta “non è qualificata”, la non punibilità è previsione inutile: il giudizio di irrilevanza penale consegue, infatti, al difetto di tipicità del fatto di reato. Diversamente, allorquando l’evasione prodotta sia “qualificata”, ed in ogni caso rispetto alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, la non punibilità consegue alla disposizione di nuovo conio e risente dei limiti dalla stessa previsti: di talché, il fatto che, ancorché tipico, antigiuridico e colpevole, diviene immeritevole di sanzione penale è solo quello “disvelato” nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, restando impregiudicata la possibilità di perseguire fattispecie sottaciute.
Anche il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), fattispecie delittuosa di nuovo conio, introdotta dall’art. 3, comma 3, l. 186/2014, è oggetto della non punibilità della voluntary disclosure. Dispone infatti l’art. 5-quinquies, comma 3, d.l. 167/1990 che, “limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria, non sono punibili le condotte previste dall’art. 648-ter.1 c.p., se commesse in relazione ai delitti di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000 e sino alla data del 30 settembre 2015, entro la quale può essere attivata la procedura di collaborazione volontaria”.
La conclusione delle procedura di collaborazione volontaria
Con previsione che, a giudizio di chi scrive, pecca di precisione e, come tale, potrebbe dare luogo ad incertezze applicative, l’art. 5-quater, comma 3, d.l. 167/1990 ha previsto che, entro trenta giorni dalla data di esecuzione dei versamenti indicati dall’art. 5-quater, comma 1 lett. b), cioè a dire i versamenti la cui esecuzione importa il perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria, l’Agenzia delle Entrate comunichi, all’Autorità Giudiziaria competente, “la conclusione della procedura di collaborazione volontaria, per l’utilizzo dell’informazione ai fini di quanto stabilito all’art. 5-quinquies, comma 1, lettere a) e b)”.
Orbene, stando alla lettera della legge, una volta perfezionata la procedura di collaborazione volontaria e, quindi, eseguiti i versamenti indicati dall’art. 5-quater, comma 1 lett. b), d.l. 167/1990, l’Amministrazione Finanziaria deve rendere edotta l’Autorità Giudiziaria competente (id est, la territorialmente competente Procura della Repubblica) della positiva conclusione della procedura medesima.
Quanto poi all’utilizzo di tale informativa, è lecito ritenere che, comunque, una iscrizione nel registro delle notizie di reato dovrà aver luogo (anche perché, come detto, la previsione di non punibilità in commento deve essere inquadrata nel paradigma delle cause di non punibilità), e che il procedimento così iniziato avrà esito diverso a seconda che le ipotesi criminose ravvisabili nei fatti rappresentati durante la procedura di collaborazione volontaria non rientrino, o rientrino, nell’ambito di operatività dell’art. 5-quinquies, commi 1, 2 e 3. In tale ultimo caso, il procedimento penale è destinato all’archiviazione.