In attuazione della delega contenuta nella legge n. 103 del 23 giugno 2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), il decreto legislativo n. 21 del 1° marzo 2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018 ed in vigore dal 6 aprile 2018, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della riserva di codice nella materia penale ed ha proceduto all’inserimento nel codice penale di talune fattispecie criminose, prima disciplinate nelle leggi speciali. Di nuova introduzione sono, ad esempio, l’art. 570-bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio), l’art. 586-bis c.p. (c.d. doping), i delitti contro la maternità (artt. 593-bis e 593-ter c.p.) e i delitti contro l’eguaglianza (artt. 604-bis e 604-ter c.p.)
L’ordine di esecuzione della pena va sospeso anche ai condannati a pene fino a 4 anni
Con la sentenza n. 41 del 2 marzo 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, c.p.p. “nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni”.
Il reato di tortura: ora una legge esiste… ma numerosi sono i dubbi e i punti controversi
La legge n. 110 del 14 luglio 2017 ha introdotto nel nostro ordinamento il delitto di tortura, in notevole ritardo rispetto alla Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, ratificata dall’Italia nel 1988. Il lungo iter legislativo della legge 110/2017, che ha introdotto nel nostro codice penale i reati di tortura (art. 613-bis c.p.) e di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter c.p.), è stato per anni caratterizzato da accese polemiche tra le forze politiche e tra l’opinione pubblica, incalzate anche da alcuni gravi episodi di cronaca. Il testo licenziato dal Parlamento presenta rilevanti differenze rispetto all’iniziale proposta di legge, e non sono mancate le insoddisfazioni e le critiche da parte dello stesso Presidente della Commissione per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ha lamentato una formulazione del reato di tortura divergente rispetto a quella contenuta nella Convenzione ONU, nonché da parte di associazioni che si occupano di tortura (come Amnesty International ed Antigone), per le quali le nuove disposizioni rischiano di non essere efficaci per la prevenzione ed il contrasto di gravi condotte.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la riforma Orlando: come cambia il codice penale
Il 4 luglio 2017 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario. Pertanto, le nuove disposizioni ivi contenute entreranno in vigore il prossimo 3 agosto 2017. Sul diritto penale sostanziale la recente riforma interviene con l’introduzione di una nuova causa di estinzione del reato per condotte riparatorie, con l’inasprimento del regime sanzionatorio di taluni delitti e con il ‘prolungamento’ dei tempi per la prescrizione dei reati, in particolare con l’introduzione di nuove cause di sospensione del corso della prescrizione.
È legge la c.d. riforma Orlando: le modifiche al codice penale e al codice di procedura penale
Lo scorso 14 giugno 2017, la Camera dei Deputati ha approvato, in via definitiva e con voto di fiducia, la c.d. riforma Orlando, ossia il disegno di legge n. 4368, che prevede importanti modifiche al codice penale, al codice di procedura penale ed all’ordinamento penitenziario. Alcune delle novità introdotte dal provvedimento in esame, che si compone di un unico articolo, suddiviso in 95 commi, entrano in vigore (salvo per talune diverse previsioni ad hoc) al trentesimo giorno successivo a quello della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Altre novità, invece, sono oggetto di specifiche deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi in determinate materie.
Il nuovo art. 590-sexies c.p.: responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario
Lo scorso 28 febbraio 2017 la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 2224 proposto dagli onorevoli Gelli e Bianco, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Sotto il profilo penale, la novità più importante del disegno di legge in questione è l’abrogazione dell’art. 3 della legge 189/2012, c.d. legge Balduzzi, con l’eliminazione della distinzione tra colpa lieve e colpa grave, e l’introduzione dell’art. 590-sexies c.p. (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario). La nuova disposizione prevede che in caso di morte o lesioni personali del paziente in cura, la condotta del medico non è punibile “quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Responsabilità medica: la colpa lieve del sanitario che si è attenuto alle linee guida non è penalmente rilevante
Con la sentenza n. 23283 del 6 giugno 2016 la Corte di Cassazione, sezione IV penale, ha chiarito che la novella legislativa di cui all’art. 3 legge 189/2012 (c.d. legge Balduzzi) ha escluso la rilevanza penale della colpa lieve del sanitario rispetto a quelle condotte lesive che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica. Oltre ad aver sottolineato che l’irrilevanza penale delle condotte dei sanitari qualificate da colpa lieve si deve estendere anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge Balduzzi, la Suprema Corte ha altresì statuito che la limitazione di responsabilità, in caso di colpa lieve, può operare, per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche, anche in caso di errori che siano connotati da profili di colpa generica diversi dalla imperizia.
Omicidio colposo in seguito ad incidente stradale: quando non sussiste l’elemento della colpa
Con la sentenza n. 24462 del 06.05.2015 la Corte di Cassazione, sezione IV penale, ha annullato senza rinvio la pronuncia di condanna per omicidio colposo, in seguito ad incidente stradale, dopo aver ritenuto che non sussiste in capo all’imputato l’elemento della colpa quando l’evento verificatosi non concretizza il rischio che la regola cautelare violata mira a prevenire. Più precisamente, l’individuazione della responsabilità penale impone di verificare, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (che si risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare sia essa generica o specifica, ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere, con giudizio ex ante quello specifico sviluppo causale e potesse attivarsi per evitarlo.
La messa alla prova per gli adulti: due recenti pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione
Sull’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, introdotto con la legge 28 aprile 2014 n. 67, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente pronunciate con due distinte sentenze. Con la sentenza n. 33216 del 29 luglio 2016 (ud. 31 marzo 2016) hanno stabilito che “l’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova non è autonomamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p., in quanto l’art. 464-quater, comma 7, c.p.p., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova”. Con la sentenza n. 36272 del 1° settembre 2016 (ud. 31 marzo 2016) hanno ritenuto che “ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, il richiamo contenuto nell’art. 168-bis c.p. alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”.
L’avviso della facoltà di richiedere la messa alla prova con l’opposizione al decreto penale di condanna
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 201 del 21 luglio 2016 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1 lett. e), c.p.p., per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, “nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova”. Come ha rilevato la Consulta, poiché nel procedimento per decreto il termine entro il quale chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, e corrisponde a quello per proporre opposizione, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall’art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p. per i riti speciali, della facoltà dell’imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e, quindi, la violazione dell’art. 24, comma 2, Cost.