Lo Studio dell’Avv. Francesco Lucino di recente si è occupato della difesa di un soggetto accusato di omicidio colposo perché, come si legge nel capo di imputazione, “per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nella violazione delle norme sulla circolazione stradale, cagionava a … un traumatismo contusivo produttivo di lesioni scheletriche e viscerali multiple da cui derivava la morte del predetto…”.
Il caso concreto.
L’indagato veniva rinviato a giudizio perché, secondo l’ipotesi accusatoria, alla guida della propria autovettura “giunto in corrispondenza della rotatoria…, ometteva di regolare la velocità – al momento di circa 57 km/h e dunque superiore al limite massimo di 50 km/h – e di prestare la dovuta attenzione alla strada ed agli utenti della stessa al fine di evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone, così che si immetteva sulla carreggiata impegnando la rotatoria ed andando a collidere con il motociclo… il quale, a velocità moderata, era nel frattempo sopraggiunto alla sua destra”.
Gli veniva, dunque, contestato il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589, commi 1 e 2, c.p. (per il quale è prevista la sanzione della reclusione da due a sette anni) in relazione agli artt. 140 e 141, comma 3, Codice della Strada. Tali ultime disposizioni, rivolte a qualunque utente della strada, impongono, rispettivamente, di “comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale” e di “regolare la velocità… in prossimità delle intersezioni…”.
Il processo.
Stante la specificità della materia, lo Studio dava incarico ad un consulente tecnico, e precisamente ad un esperto di cinematica ed infortunistica stradale, di analizzare le circostanze di tempo e di luogo al momento del sinistro stradale, i danni riportati in conseguenza dell’impatto dall’autovettura condotta dall’imputato e dal motociclo della persona offesa, nonché le velocità cui viaggiavano i due veicoli.
Veniva così depositata una prima memoria tecnica in difesa dell’imputato, che contrastava le conclusioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero. A seguito della consulenza tecnica successivamente prodotta dai familiari della persona offesa, lo stesso consulente dell’imputato presentava altre due memorie tecniche suppletive, che confermavano le conclusioni della sua prima relazione e confutavano quelle della consulenza tecnica dei familiari della persona offesa, anche attraverso la simulazione dell’avvenuto sinistro stradale operata con il sistema informatico “pc- crash”.
Dopo la scelta difensiva di definire il processo con rito abbreviato, il Pubblico Ministero chiedeva la condanna dell’imputato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, contestando all’imputato di non aver regolato la velocità nell’impegnare la rotatoria ed anzi di aver tenuto una velocità superiore al limite previsto, nonché di non aver prestato la dovuta attenzione al fine di evitare l’impatto con il motociclo condotto dalla persona offesa.
La difesa invece, nella persona dell’Avv. Lucino, chiedeva l’assoluzione del suo assistito, non sussistendo in capo a quest’ultimo alcuna colpa per la tragica morte del motociclista con il quale era entrata in collisione l’autovettura dell’imputato.
E precisamente, il difensore dapprima ricostruiva il sinistro stradale sulla scorta delle conclusioni del Consulente tecnico da lui incaricato: in particolare, nel descrivere l’impatto fra i due veicoli sottolineava come l’imputato avesse tenuto una velocità inferiore al limite imposto dalla legge (48,7 km/h) e non avesse violato alcuna norma sulla circolazione stradale, mentre il motociclista, sfortunatamente deceduto in seguito all’incidente, non si fermava allo stop e non concedeva la dovuta precedenza all’automobile contro la quale è andato ad impattare.
Il difensore, poi, ancora più approfonditamente, sosteneva innanzi al Giudice l’applicazione al caso in esame del principio di affidamento, che permette a ciascun agente di confidare che il comportamento dell’altro sia conforme alle regole di diligenza, prudenza e perizia. Riteneva che se il conducente di un veicolo ha l’obbligo di fronteggiare anche le prevedibili irregolarità del comportamento altrui, tuttavia una tale cautela non può spingersi sino ad imporre di prevedere comportamenti al di fuori di ogni ragionevole prevedibilità. Tale argomentazione veniva sostenuta anche attraverso il rinvio ad alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione (fra cui Cass. pen., sez. IV, n. 46741 del 2009).
Concludeva pertanto che l’imputato, che aveva rispettato tutte le regole cautelari a lui dirette, non avrebbe potuto prevedere la condotta inosservante e imprudente del motociclista, né di conseguenza avrebbe potuto evitare il tragico evento; egli, dunque, non era penalmente responsabile della sfortunata morte del centauro, perché nessuna risposta poteva darsi al quesito fondamentale: quale manovra e/o cautela – oltre a quelle adoperate – avrebbe dovuto mettere in atto l’imputato per evitare l’impatto?
La sentenza di assoluzione.
Come prospettato e chiesto dall’Avv. Lucino, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano assolveva l’imputato dall’accusa di omicidio colposo.
Dapprima il Giudice ricostruiva il sinistro stradale sulla base delle consulenze tecniche dell’imputato, precisando come fossero invece inverosimili ed infondate le ricostruzioni e le conclusioni dei consulenti del Pubblico Ministero e delle persone offese. Poi, accogliendo la tesi enunciata dalla difesa, riteneva che “non si può ragionevolmente sostenere che la condotta …. sia stata colposa solo perché l’imputato non è riuscito ad evitare l’impatto, in quanto l’immissione nella rotatoria del motociclista era avvenuta quando l’autovettura aveva già impegnato la rotatoria ed era quasi giunta in prossimità della via…, e quindi l’impatto era inevitabile, oltre che imprevedibile, perché a monte era imprevedibile che il motociclista tenesse una condotta così negligente ed imprudente; negligente, perché non si arrestava allo stop, o comunque ripartiva senza aver prima verificato che la strada fosse libera, imprudente in quanto posta in essere nonostante l’approssimarsi di un veicolo che procedeva con diritto di precedenza”. Il Giudice argomentava la sua decisione anche con il riferimento ad alcune pronunce della Corte di Cassazione, come il richiamo alla sentenza n. 28615 del 2013 della IV Sezione Penale (“Nei reati colposi conseguenti a incidenti stradali è esclusa la responsabilità del conducente quando il fatto illecito altrui, ed in particolare della vittima, configuri per le sue caratteristiche una vera causa eccezionale, atipica e non prevedibile che sia stata da sola sufficiente a provocare l’evento”). Concludeva così che, non potendo muoversi alcun rimprovero di colpa all’imputato, questi doveva essere mandato assolto perché il fatto non costituiva reato.