Di recente, l’Avv. Francesco Lucino si è occupato della distinzione tra l’art. 73 e l’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990, ovvero dell’importante discrimine tra la detenzione della sostanza stupefacente al fine di cederla a terzi, che costituisce reato ai sensi dell’art. 73, e la detenzione della sostanza per uso personale, che invece il richiamato art. 75 punisce solo a titolo di illecito amministrativo (per l’approfondimento del tema, si rinvia all’articolo “La distinzione tra ‘spacciatore’ e ‘assuntore’ di sostanze stupefacenti”).
L’imputato, difeso dall’Avv. Lucino, era stato sottoposto a perquisizione mentre, intento a parlare con un altro soggetto, si trovava in tarda ora nei pressi di un locale pubblico notturno di una località sciistica, località ove si era recato per trascorrere una settimana bianca. Era così stato trovato in possesso di sei involucri contenenti complessivamente meno di due grammi di cocaina (sostanza stupefacente di cui alla tabella I), di cui 0,671 grammi di principio attivo (pari al 33,6% della sostanza), per un numero complessivo di 4,5 dosi medie singole (ai sensi del d.m. dell’11 aprile 2006). Inoltre, un involucro contenente cocaina era stato ritrovato nella tasca dei pantaloni del soggetto, mentre gli altri cinque erano stati rinvenuti all’interno della sua autovettura.
La condanna in primo grado
Per il Giudice dell’Udienza preliminare di Sondrio, la condotta dell’imputato costituiva reato: la destinazione a terzi della rinvenuta sostanza stupefacente emergeva dalle modalità del fatto, poiché la droga era suddivisa in sei bustine ed era detenuta in parte sulla persona ed in parte sulla sua autovettura; inoltre, il controllo era avvenuto in ora notturna, all’esterno di un locale pubblico e nel mentre l’imputato stava ‘confabulando’ con un altro soggetto.
Pertanto, in seguito a giudizio abbreviato, e dopo aver rilevato che per la quantità e la qualità dello stupefacente il fatto era di lieve entità, condannava l’imputato, ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 4.000 di multa.
L’assoluzione in appello perché il fatto non è previsto dalla legge come reato
Diversamente, la Corte di appello di Milano, Sezione I penale, non riteneva pienamente raggiunta la prova della sussistenza del reato in capo all’imputato, e condivideva le “puntuali osservazioni svolte nei motivi di appello” dal difensore.
Come si legge in sentenza, “tutti gli elementi del fatto deponevano per la piena verosimiglianza della versione difensiva dell’uso personale”. Invero, come emergeva anche dalla C.N.R., non vi era stata alcuna cessione dello stupefacente: la perquisizione del soggetto con il quale l’imputato era stato visto parlare, aveva dato esito negativo, e il denaro che l’imputato aveva con sé erano di lecita provenienza.
A sostegno della tesi della detenzione dello stupefacente per il consumo personale dell’imputato, e dunque della tesi della sussistenza della scriminante di cui all’art. 75 d.P.R. 309/1990, vi erano anche altri elementi, tutti evidenziati dalla difesa nell’atto di appello della sentenza di condanna, nonché in sede di discussione del processo di secondo grado. Tra questi, di assoluta importanza era il fatto che il quantitativo complessivo di cocaina detenuta era compatibile con una piccola scorta da utilizzare durante la vacanza invernale, scorta che le finanze dell’imputato, come da documentazione prodotta dalla difesa, gli consentivano di poter avere. In più, l’Avv. Lucino aveva precisato, tra le altre cose, che la sostanza stupefacente rinvenuta, pari a 0,671 grammi, era inferiore alla quantità massima detenibile, pari a 0,75 grammi (e cioè, trattandosi di cocaina, 0,15 grammi per il moltiplicatore 5): di talché, in mancanza di qualsivoglia elemento sintomatico dello spaccio, era pacifica la destinazione della sostanza per uso personale. Lo stesso difensore aveva altresì sottolineato che era irragionevole pensare che l’imputato, il quale godeva di un discreto reddito, si fosse recato in montagna al fine di cedere a terzi la sostanza stupefacente, portando con sé un così esiguo quantitativo di cocaina.
In accoglimento delle argomentazioni della difesa, e in riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello assolveva l’imputato dal reato ascrittogli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, potendo trattarsi, tutt’al più, di detenzione della sostanza stupefacente per uso personale.