La pronuncia della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 80 dell’8 aprile 2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA (ossia dell’imposta sul valore aggiunto), dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d’imposta, ad euro 103.291,38.
Il citato art. 10-ter punisce con la sanzione della reclusione da sei mesi a due anni il soggetto che dopo aver presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’IVA, dalla quale risulti un debito superiore ad euro 50.000,00 per ciascun periodo d’imposta, non esegue il pagamento dovuto entro il 27 dicembre dell’anno successivo. La norma, dunque, protegge l’interesse del fisco alla riscossione dell’imposta così come ‘autoliquidata’ dallo stesso contribuente.
Prima delle modifiche introdotte dal decreto legge n. 138 del 2011, entrate in vigore il 17 settembre 2011, la norma incriminatrice dell’omesso versamento dell’IVA contrastava, quanto alla soglia di punibilità, con gli artt. 4 e 5 del d.lsg. n. 74 del 2000, che prevedono rispettivamente le fattispecie di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione. Invero, queste ultime disposizioni, benché più gravi per la descrizione di condotte finalizzate ad ostacolare l’accertamento tributario, indicavano soglie di punibilità più elevate, rispettivamente pari ad euro 103.291,38 e ad euro 77.468,53, rispetto a quella prevista dal reato di cui all’art. 10-ter (euro 50.000,00). Ciò comportava l’illogica conseguenza per cui veniva trattato in maniera deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA ma non avesse versato la relativa imposta, rispetto a chi non avesse presentato la detta dichiarazione o l’avesse presentata in maniera difforme dalla realtà.
Una tale situazione, riservando un trattamento più severo a chi avesse tenuto la condotta meno lesiva degli interessi del fisco, era fortemente in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. Pertanto, l’art. 2, comma 36-vicies semel, del citato decreto legge n. 138 del 2011 (aggiunto dalla legge di conversione n. 148 del 2011) ha ridotto le soglie di punibilità della dichiarazione infedele e della omessa dichiarazione, rispettivamente ad euro 50.000,00 euro e ad euro 30.000,00.
Tuttavia, le dette modifiche, essendo di segno sfavorevole al reo, si sarebbero applicate solo ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della richiamata legge di conversione, e quindi a partire dal 17 settembre 2011. In merito ai fatti antecedenti a tale data, è allora intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza ‘manipolativa’ n. 80 del 2014. Riscontrata la violazione del principio di uguaglianza, ha definitivamente rimosso l’irragionevole disparità di trattamento, stabilendo che, per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011, la soglia di punibilità per l’omesso versamento dell’IVA deve allinearsi alla soglia, più alta, prevista per la dichiarazione infedele, ossia 103.291,38 euro.
Pertanto, le violazioni dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, commesse sino al 17 settembre 2011 e sino alla soglia di euro 103.291,38, non sono penalmente sanzionabili.
Le successive pronunce della Corte di Cassazione e dei Giudici di merito.
Uniformandosi alla sentenza della Corte costituzionale, la Suprema Corte si è più volte pronunciata per la insussistenza del reato di omesso versamento dell’IVA nei fatti commessi prima del 17 settembre 2011 e per importi non superiori ad euro 103.291,38 euro; così, ex pluribus, nelle recenti sentenze della III Sezione n. 31466 del 17.07.2014 (ud. 03.07.2014), n. 32606 del 23.07.2014 (ud. 02.07.2014) e n. 36859 del 04.09.2014 (ud. 26.06.2014).
La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio le impugnate sentenze con la formula “perché il fatto non sussiste”, precisando che detta formula deve preferirsi a quelle “perché il fatto non costituisce reato” e “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” poiché nel caso di specie difetta un elemento costitutivo del reato. Tale formula, inoltre, esclude ogni possibile rilevanza del fatto anche in sede diversa da quella penale.
Anche i Giudici di merito si stanno adeguando alla sentenza della Corte costituzionale: così, ad esempio, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, il quale, in riferimento ad un omesso versamento dell’IVA dovuta per l’anno 2007 e per l’importo di euro 83.131,00, ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (sentenza n. 436 dell’08.07.2014).
Alla recente e importante sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014, dovranno adeguarsi tutti i procedimenti per il reato di omesso versamento dell’IVA (commesso prima del 17 settembre 2011 e per un importo non superiore ad euro 103.291,38 per periodo d’imposta). Di conseguenza, se il procedimento è in fase di indagini preliminari, sarà possibile chiederne l’archiviazione; diversamente, a processo iniziato, il Giudice dovrà pronunciare sentenza di non doversi procedere o sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Infine, qualora sia già passata in giudicato una sentenza di condanna per il reato in esame, si dovrà promuovere un incidente di esecuzione affinché la condanna ed i relativi effetti penali non abbiano più attuazione.